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Invecchiamento della popolazione: lo studio dello Spi Cgil sul territorio padovano

Ha riscosso notevole spazio su il Mattino di Padova lo studio dello Spi Cgil di Padova sull’aumento della popolazione anziana nei comuni della nostra provincia che negli ultimi 10 anni ha raggiunto la cifra record di 218.625 over 65. Un aumento del 17,58%, pari a 32.700 persone che si sono aggiunte ai 185.932 over 65 rilevati nel 2012.

Un po’ di dati: il comune più invecchiato rispetto alla popolazione è Veggiano con un aumento del 52,9% di anziani nell'ultimo decennio: erano 485 gli over 65 nel 2012, sono 742 oggi. Eppure, paradossalmente, Veggiano è anche il paese con meno anziani rispetto al totale della popolazione: 15,46%. Mentre il paese con più over 65 rispetto alla popolazione totale è Battaglia Terme, con il 28,22%. E quello invecchiato meno? Castelbaldo: nel 2012 aveva 382 over 65, oggi ne ha 367 (-3,93%). In questa classifica il capoluogo padovano vanta 54.706 over 65, ne registrava 51.081 dieci anni fa (+7,10%) e gli anziani, sulla popolazione totale, sono il 26,21%.

Naturalmente il tema si intreccia con altre questioni cruciali: le prime sono quelle relative alle necessarie riforme in tema di politiche socio-sanitarie che si renderanno necessaria per far fronte al maggior bisogno di assistenza che si lega all’invecchiamento. I dati in questo senso non lasciano spazio ad interpretazioni: quasi un over 65 su due soffre di più malattie croniche, arrivando al 60% fra gli ultra 85enni. Non solo. Il 16,6% degli anziani ha difficoltà motorie, quindi non autosufficiente, percentuale che sale al 19% nella fascia d'età fra i 75 e gli 85 anni e sale ancora al 20% per gli over 85. Dato finale: il 28% degli over 65 ha in generale grossi problemi di mobilità. Oltre a questo, con tante persone in età pensionabile, va tenuta in conto anche la diminuzione della forza lavoro nei territori con le necessarie implicazioni in materia previdenziale. Semplicemente: chi pagherà le pensioni in futuro se avremo più pensionati che lavoratori?

Secondo Alessandro Chiavelli, Segretario Generale dello Spi Cgil Padova, l'invecchiamento, di per sé, non è un fenomeno negativo, perché significa che si vive di più. Quello che mette in discussione sono le politiche adeguate da parte delle amministrazioni: trasporti, sostegno alle pensioni più povere, infrastrutture, sanità, assistenza, autosufficienza: “Siamo più vecchi, la vita si è allungata e viviamo di più. Questo è un elemento positivo, soprattutto se le persone sono in salute. Diventa drammatico se rapportato alla denatalità: invecchiamo, ma non facciamo figli e questo, già adesso, sta mettendo in discussione l'equilibrio sociale. Oggi per ogni under 14 ci sono 2 over 65 e per ogni bambino fino a 5 anni ci sono 2,5 under 80. E in futuro le cose non sembrano poter andare meglio, anzi, soprattutto in tema di assistenza e lavoro. Avremo sempre più bisogno di lavoratori dedicati all'assistenza ma secondo le nostre previsioni (abbiamo fatto un lavoro da qui al 2031) la situazione è destinata a peggiorare nei prossimi 10 anni. Una popolazione che invecchia ha bisogno di assistenza, le spese per la sanità aumenteranno e la previdenza è già oggi in discussione. Significa che dobbiamo difendere ad ogni costo il sistema sanitario pubblico e garantire a tutti, anziani in testa, la giusta assistenza”

“Per ciò che riguarda il lavoro – prosegue Alessandro Chiavelli – le aziende non avranno abbastanza personale e dovranno cercare i lavoratori in altre parti del mondo. L'immigrazione sarà un elemento necessario per coprire le carenze dei prossimi anni. Quel che ci si chiede è quindi chi pagherà le pensioni, vista, a lungo andare, la mancanza di equilibrio del sistema previdenziale se aumentano i pensionati e diminuiscono i lavoratori. È da tempo che ne parliamo ed è parecchio che chiediamo di ragionare su una riforma reale delle pensioni. Devono affrontarsi numerosi problemi: la retribuzione certo, ma anche l’aiuto alle famiglie che vorrebbero avere figli ma non sono in grado di mantenerli. Una questione che in Veneto si sente parecchio dato che in questa regione il numero dei giovani che emigrano in altri paesi, ma anche in altre regioni (come la vicina Lombardia) ci dice che c'è una criticità che non si vuole affrontare: in Lombardia i nostri giovani sono pagati mediamente 7 mila euro in più all'anno”.

E poi la faccenda dell’ammontare delle pensioni, nel nostro Paese, tra i livelli più bassi in Europa: “Contrariamente a quello che si pensa – rilancia il Segretario Generale dello Spi Cgil – il 65-70% dei pensionati del lavoro privato ha meno di 1.000 euro lordi e tra i grandi anziani la maggior parte sono vedove con pensioni di reversibilità al di sotto della povertà. All'inizio del prossimo inverno temiamo debbano scegliere tra alimentarsi o scaldarsi. E il futuro, per i giovani di oggi, appare ancora più buio perché se penso che oggi il sistema previdenziale è di tipo contributivo (calcolato dunque in base ai contributi versati), non posso fare a meno di concludere che loro, che saranno i vecchi e dunque i pensionati di domani, arriveranno a 70 anni con numero di contributi così basso che garantirà loro una pensione di poche centinaia di euro lordi al mese. Questo perché, durante l'età lavorativa e contributiva, hanno dovuto attraversare i cerchi infuocati del lavoro precario e saltuario e della cassa integrazione. Tant'è. Anche chi oggi guadagna 1.300-1.400 euro a tempo indeterminato, con il sistema contributivo classico, dopo oltre 40 anni avrà una prospettiva di pensione che supererà di poco i 1.000 euro. E parliamo di 40 anni di lavoro. Chi, invece, accumulerà appena 20-25 anni, è candidato ad una vecchiaia di povertà: i giovani poveri di oggi saranno anziani ancora più poveri di quelli di oggi.

“Per forza che restano soli e non si accingono a costruire né famiglia, né vita di coppia – conclude Chiavelli – visto che la maggior parte non ha le condizioni economiche per affrontare una vita di coppia, figuriamoci una famiglia con figli. Ma non è vero che la situazione è troppo complicata e di difficile soluzione. Non citerò le "solite" prime della classe, come i paesi del Nord Europa o la Germania (che hanno diminuito a 30 le ore di lavoro settimanali a parità di salario) ma voglio citare la cugina Spagna che ha investito a favore del tempo indeterminato, smentendo la storia dell'orso, in voga da anni, che il tempo indeterminato è troppo costoso per le imprese. Infatti nel nostro paese del milione di nuovi lavoratori del 2021, l'80% sono saltuari, e cioè hanno a che fare con le solite incertezze e il solito precariato che taglia le gambe ad ogni aspirazione di autonomia. Un modo per risolvere il problema c'è e si chiama lotta all'evasione fiscale che vale 100 miliardi di euro all'anno”.

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